Delle gare e delle corse, contro il tempo

Ci sono corse a cui si partecipa e altre in cui si gareggia.

Visto l'impegno richiesto per le seconde io non riesco a correrne più di tre o quattro all'anno. Mi richiedono settimane di preparazione fisica con un sottile ronzio in sottofondo che mi ricorda che dovrò faticare sonoramente (e non sempre è il mio forte) ed in genere la settimana prima divento difficile da trattare, o quasi intrattabile, e mi chiudo in una sorta di circolo virtuoso (in vista della gara) ma vizioso (dal punto di vista sociale).

Se gareggiassi ogni settimana sarei probabilmente un eremita evitato come gli untori manzoniani.

Il tutto non è un problema se uno conosce le sue soglie di attivazione ed i percorsi di avvicinamento ad una competizione.

Domenica scorsa, per esempio, ho partecipato alla
Ecomaratona dei Cimbri, che si sviluppa sull'altopiano del Cansiglio, con un avvio ed un ritorno da Fregona, vicino a Vittorio Veneto.

Parentesi* per ricordare a chi sia appassionato di trail running che si tratta di un evento imperdibile per caratteristiche del percorso e qualità dell'organizzaione, gestita da Stefano e Gianni, che di fango ne han scrollato dalle scarpe.

Tornando a noi, io sono facile al perdono ma non dimentico facilmente. E il ricordo della prima edizione, corsa nel 2004, in cui alla fine della salita principale (=km 11) si erano spente le luci e poi mi ero semplicemente trascinato all'arrivo in 6h43', era ben vivo, pur nella foschia dell'appannamento da fatica.

Quest'anno quindi, i Cimbri non erano nel mio calendario delle gare da tirare, ma ritenevo di dovermi un tentativo di cancellare quel sei iniziale.

La strategia disegnata era piuttosto semplice, sulla carta: di fatto una gara di 30km con 12km, la prima salita appunto, di avvicinamento.

Tutto bene per l'avvicinamento, gestito con professionalità, ma giunto allo scollinamento, a 1500m slm, dopo 11 km, le gambe erano pronte alla sfida ma la testa mancava all'appello. L'idea di fare i successivi 30km tirati, pur senza forzare, proprio non c'era e ho impiegato qualche chilometro per entrare nel personaggio.

Fortunatamente c'era discesa per una decina di chilometri, e fortunatamente qualche chilometro in più corso in allenamento quest'anno ha creato quella sorta di inerzia per cui posso avanzare anche se la mente cosciente non è pronta a spingere.

Fatta una rapida ristrutturazione mi sono quindi rimesso in carreggiata per l'obiettivo di giornata e alla mezza avevo un ampio margine. Complice questa scoperta, unitamente ad una insidiosa salita verso il trentesimo, mi sono distratto e trovato a 10 chilometri dall'arrivo con un margine ben più ridotto, e la consapevolezza che avrei dovuto tirare per stare sotto le sei ore.

Un paio di imprecazioni perché in effetti è sempre così, mai che ti trovi così in anticipo da poter passeggiare senza problemi, oppure sei così fuori dall'obiettivo da doverti rassegnare e quindi passeggiare senza problemi. No, sempre sul filo del rasoio. Ma il passato è passato, e passato lo sfogo via con lo sguardo al futuro e, soprattutto, all'insidioso terreno che è la discesa verso Fregona. Uno sterrato roccioso (si potrà dire?) come solo nella pedemontana vittoriese sanno preparare.

Quasi tutte le risorse sono state impiegate per mantenere la massima velocità compatibile con la rischiosità del declivio, le poche libere erano costantemente a calcolare medie al chilometro, tempo mancante e approssimazioni sulla distanza coperta e da coprire.

La vista dell'arco gonfiabile è stato un bel sollievo, ho rallentato un po' per non passare all'ultimo un altro concorrente, e mi sono fermato di fronte ad una sorridente ragazza, con un costume tipico che a questo punto immagino Cimbro, e ho ricevuto la medaglia.

Il cronometro mi ha dato l'altro riconoscimento: 5h50'. Che non vuol dire nulla in assoluto, ma ha un significato relativo importante.
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* ovviamente il cronista sceglie un taglio da dare alla storia e segue il filo di un ragionamento. In questo caso mi interessava riflettere sulla lotta contro il tempo.
In realtà in quelle, quasi, sei ore ci sono state persone, panorami, momenti di meraviglia, di disperazione e di dialogo interiore, che mancano quì, ma non nell'esperienza dell'evento.