2009

19ma corsa di Santa Caterina - Barbisano TV

Alla faccia del non ci sono più le mezze stagioni.

In un novembre umido e caldiccio, in cui il bosco dà il meglio di sé, ecco che arriva Barbisano, uno degli appuntamenti da non mancare. Lo conferma il numero di persone alla partenza, nonostante il tempo incerto.

Da non mancare, si diceva, perché è una di quelle marce alla scoperta del territorio, collinare, agricolo, boscoso, colorato ed operoso, morbido e inclinato in varie angolazioni. Asfalto, sentiero, sterrato, campi, ti tirano dietro un po’ di tutto e tu restituisci un sorriso soddisfatto.

Il giusto sforzo

Stamane, prima di lasciare casa per la 22ma corsa dello sport di Mosnigo, sono incappato in questo articolo (in Inglese) che direi val la pena di diffondere.

Invita a tenere entrambi gli occhi sulla via, perché distrarsi cercando di arrivare prima possibile al traguardo può essere, paradossalmente, uno dei maggiori fattori limitanti della prestazione.

E tutti quelli che hanno perso settimane o mesi per un infortunio causato dall’aver affrettato i tempi (si guarda in giro, fischietta, finge indifferenza) ne trarrebbero giovamento.

Tra la piadina e lo zen

Il Giro della Piana Sernagliese (giunto, non a caso, alla 35ma edizione) si svolge tradizionalmente poche decine di minuti dopo la diretta australiana della motoGP. Questo garantisce menti e gambe già sveglie, e tempi più rapidi del solito, dopo aver accompagnato, sul divano, pieghe e derapate.

Senza eccezioni il tempo finale è risultato più breve di ogni previsione. Anche il percorso. La 12 chilometri (sostantivo) era lunga 10,750, a detta di GPS consultati all’arrivo. Ma, quel che più interessa, o può interessare, è che il percorso è leggermente variato, aggiungendo ulteriore sottobosco e colori autunnali.

Una piacevole sorpresa che non ho potuto apprezzare del tutto, in un periodo in cui dopo poche centinaia di metri comincio già a cercare affannosamente segni di traguardo.

Il desiderio di esserci non era dei più forti, ma sono rimasto, perché a volte è quello che devi fare. Durante la settimana infatti sono incappato nei
consigli di Chuckie V, valente triathleta di un tempo e attualmente allenatore.

Mi ha opportunamente ricordato che ci si dovrebbe allenare con l’idea di prepararsi ad una giornata difficile, non alla migliore della propria vita. E se alla fine il motivo principale per cui corro e perché mi diverte, capita che ha volte si debbano serrare le mascelle e portare a casa il risultato comunque, che se ne trarrà beneficio a tempo debito.

Forte di queste idee ho lasciato che le gambe facessero il loro lavoro, godendone la semplice ed efficace azione, libera di condizionamenti intellettuali, di desideri e paure. E, alla fine, mi sono perfino goduto lo spettacolo.

aver voglia di aver voglia di correre

Ieri, dopo mesi, mi è venuta voglia di aver voglia di correre.

Già, c’ero così lontano che non ero neanche sulla soglia, ma ancora al cancello di fuori.

Comunque, per quei mesi, si è tenuta botta, contenendo le perdite, coccolando il tendine arrabbiato, e camminando come non mai. Ché siam corridori di lunga lena, e non va sempre peggio. Prima o poi...

Oggi.

Oggi, nel circuito del Lago Morto, il sacro, vitale, fuoco è ricomparso. Quello che ti fa sorridere senza apparente ragione, e sentire leggero a dispetto della gravità del peso.

Ma, soprattutto, quello che ti fa godere di quello che stai facendo in quel preciso istante.

Descrizione da vocabolario della felicità.

Motivazione, perseveranza e semplicità

L’anno scorso avevo scritto di Jasper Halekas, e di come mi aveva impressionato per essere andato, la sera prima, in bici alla partenza di una 50km, averla vinta in 4h16’, e dopo poche decine di minuti essere partito per pedalare i 170km del ritorno.

Quest’anno Jasper è arrivato quarto alla
Western States, la 100 miglia più famosa, in 16h56’.

Potrei dire che mi ha colpito per questo, ma non sarebbe del tutto vero. Ha anche corso quelle 100 miglia stanco dall’inizio, e senza aver tanta voglia di correrle.

Ma, ancora, la cosa che mi ha impressionato di più alla fine è stato vederlo stamane in una gara locale, distribuendo pettorali prima della partenza, e magliette dopo l’arrivo.

Una Storia di Viaggi

Una storia di viaggi che avevo scritto qualche tempo fa e che, ironia della sorte, non è andata da nessuna parte:

“Tu corri? ”
“Sì”
“Hai fatto la Maratona di New York? ”
“No, tu hai mai fatto l’allenamento di gruppo del sabato mattina? ”

La frase finale non l’ho mai pronunciata, fino ad oggi, mentre le altre due domande mi sono state poste molte volte.

Con quel misto di entusiasmo genuino e capacità imprenditoriali, che caratterizzano la cultura americana, la Maratona di New York è diventata il simbolo della Corsa per chi non la pratichi, e anche per molti che la praticano, ed ha anche fatto da motore ad un fenomento che non esisteva fino ad alcuni anni fa: il turismo con il pretesto della corsa, o viceversa.

Ma non è di questo che volevo parlare (come sempre, quando mi chiedono se ho mai corso la Maratona di New York), volevo parlare del mio allenamento di gruppo del sabato mattina, “al campo”, perché è il viaggio più lungo che faccio durante una settimana qualsiasi.

O dovrei dire, i viaggi.

Serena, mia moglie, mi deposita fisicamente all’ingresso della pista di atletica verso le nove e trenta, e lì si inizia il riscaldamento, in genere tra i trenta e i quarantacinque minuti di corsa lenta. Sembrano tanti, ma chi li conta se stai chiacchierando del più e del meno, e creando quei legami che solo lo svolgere un’attività faticosa assieme cementa. E il correre in tondo? Non è noioso? No, a me piace correre, mi piace il gesto semplice e allo stesso tempo complesso, devi curare l’appoggio del piede, l’assetto del corpo, la respirazione, persino la contrazione dei muscoli facciali.

E se ti ci metti ne hai di strada da fare. Finché si parla di appoggio del piede e assetto, si hanno tutto sommato dei riferimenti fisici cui appoggiarsi. Ma quando si entra nel rilassarsi iniziano i dubbi e le difficoltà. Come ti rendi conto che hai le spalle rigide? o la caviglia della gamba libera non abbastanza sciolta? Dopo un bel po’ di chilometri cominci a capire, ma tante volte devi lavorare al contrario, contraendo le spalle, per poi poterle rilassare, chiudendo i pugni per poi lasciar andare le mani, e, perché no, improvvisando qualche smorfia con la faccia prima di liberarla dal giogo dello sguardo corrucciato da duro, utile magari al lavoro, ma non molto efficiente quando si cerchi di risparmiare ogni molecola di carburante disponibile.

Il tutto mentre stai commentando i recenti exploit podistici degli atleti d’elite, o semplicemente scambiando aneddoti sulla settimana appena trascorsa. Il tutto in un luogo in cui hai cominciato a correre, quasi trent’anni fa.

Probabilmente non è classificabile come viaggio esotico, decisamente potresti correrci ad occhi chiusi, il tombino alla curva dei trecento sul giro interno, la barriera delle siepi che restringe il passaggio, le due panchine del calcio, e di nuovo. Ma chi l’ha detto che il viaggio debba per forza essere esotico, o debba per forza comportare uno spostamento fisico di una certa entità. E il tempo? la memoria? Le centinaia di persone che sono passate di lì e hanno condiviso con te uno o più giri all’interno della pista? Periodicamente qualcuno ricompare, e via ad aggiornarti su quello che è successo nei mesi, a volte anni, di assenza. Il campo è sempre lì, un centro culturale e umano.

Mi ricorda quel vecchietto, citato da un mio amico, che ogni mattina scivolava dentro un’area di sosta autostradale in Francia, con la sua sedia pieghevole. Si accomodava lì e chiacchierava con tutti quelli che si fermavano. Non era mai andato più in là del suo paesello e di quel parcheggio, ma conosceva un po’ tutto il mondo, perché aveva la curiosità e l’anima del viaggiatore.

Ma la corsa del sabato mattina è anche Allenamento, per cui, finito il riscaldamento si sospende la socializzazione, l’occhio si fessura e inizia il lavoro specifico, magari delle variazioni, in pista.

Si varcano soglie, si entra in mondo dove non si riesce a pronunciare più di qualche parola alla volta, neanche consecutivamente. Ma se si può si evita pure quello. Capita di fare venti minuti silenziosi in pista, senza contare i giri, chi ne ha voglia quando tutto il tuo corpo, la volontà, e lo spirito, sono uniti per uno scopo: avanzare.

E, di nuovo, nell’ovale rosso e bianco, parti e arrivi più o meno nello stesso punto, ma quanta strada si può fare dentro di noi, attingendo a riserve che non si sapeva di avere, o alleggerendo il passo per limitare il consumo, una volta che si vede il fondo buio di quei serbatoi. E che dire di quando si scava per trovare qualche risorsa in più, girando a destra e manca, dentro e fuori stanze che spaventa aprire.

Un’altra volta, in un tremila, si parte coscienti che il ritmo richiesto è troppo veloce per le nostre possibilità. Ma si parte, siamo quì, anche, per esplorare i nostri limiti, e quindi può capitare di trovarli. Uno, due, tre giri. Qualcuno parla, un soffio veloce, “mancano due giri”. Ti stizzisci, non siamo neanche a metà, e non vuoi realizzare quanto manchi, ma solo completare la più piccola unità di lavoro cui riesci a pensare. All’inizio è un giro, poi si passa a mezzo, all’angolo da raggiungere, il singolo passo. Quando non puoi più ridurre sai che hai finito, ma questa volta non accade, anzi, riesci ad aumentare leggermente e finire in progressione. Poi i soliti primi metri del dopo, in cui cerchi tutta l’aria che puoi, ma già alla fine della curva trovi che la corsetta del recupero sembra quasi confortevole, fino alla prossima ripetuta.

E passa anche il lavoro duro, passa sempre, e si torna alla corsa lenta finale per scaricare, togliersi le scorie, pagare i debiti di pochi minuti prima. Il fiato è tornato, qualcuno magari parla, ma è più un condividere in silenzio uno sforzo comune.

L’allenamento è finito, ma la pista è a dieci chilometri da casa, ricordate? Mi avevano depositato lì all'inizio, e quando posso torno a piedi. Nostalgia di un passato mai stato. Molti dei fondisti di grande livello infatti hanno in comune una infanzia di povertà e di scuole lontane da casa, raggiunte spesso a piedi, correndo. Un economico mezzo di locomozione, l'unico che potevano permettersi.

Io ho avuto un’infanzia felice e fortunata, mi portavano a scuola in pulmino. Ho un ricordo di mattinate invernali trascorse ad aspettare il mezzo di trasporto, giocando al “Campanon”: saltelli con un piede su un percorso disegnato a terra con il gesso, alla caccia di un sasso segnaposto lanciato poco prima. Una benedizione per la coordinazione occhio-mano, occhio-piede, generale. Aerobicamente: un disastro. Ma è troppo tardi per lamentarsi (non sarebbe mai il momento giusto per farlo, in realtà ), e quella coordinazione ha fatto comodo molte volte. Ciò non toglie che capiti di fantasticare di come sarebbe andata se il viaggio per il quotidiano impegno giovanile fosse avvenuto correndo, magari con qualche deviazione inattesa, in fondo era tutta campagna dove, adesso, ti diverti a disegnare complicate evoluzioni per raggiungere il chilometraggio prefissato dalla tabella.

Tornando ai miei viaggi del sabato mattina, si diceva del ritorno, che è quello più letterale. Novello bambino, cresciuto e, volontariamente, senza altro mezzo di trasporto, mi avvio verso casa. Il percorso è quasi tutto lungo l’argine erboso di un fiume di pianura. E su quelle anse cambia proprio la visione della corsa, non è più una preparazione, un qualcosa che stia facendo per scelta in vista di un obiettivo. Sto semplicemente andando a casa, utilizzando le mie gambe, se rallento troppo ci metto due ore, ma non lo sento come una costrizione, le lascio andare e pian piano trovo il punto di equilibrio, che quarda caso assomiglia al ritmo delle gare lunghe.

Il respiro è profondo ma non affannoso. I pensieri sono liberi di spostarsi, andando a sistemare un paio dubbi su una relazione di lavoro, perdendosi nell’immancabile curva del fiume dove l’acqua rallenta per poi continuare la sua, di corsa, scrivendo una storia tipo questa, con le parole che arrivano e ripartono in un viaggio continuo di cui a volte sono solo un passeggero.

Ponderi quanto sarebbe aumentato il tuo massimo consumo di ossigeno se l’avessi fatto ogni giorno dai 6 ai 15 anni, realizzi che probabilmente avresti odiato ogni minuto di quella cosa che ti impediva di giocare con i tuoi amici, mentre aspettavi il minibus.

Forse non avresti capito allora, e ti saresti giocato la comprensione di oggi. Forse. E’ un altro viaggio, in fondo, in un mondo parallelo e più aerobico, chi lo sa.

Intanto, senza metterci la mia fantasia, un tempo sufficientemente lungo di corsa scatena reazioni chimiche che somigliano agli effetti della droga, un “trip”, che poi è Inglese per viaggio, e che sembra solo recentemente siano riusciti a dimostrare scientificamente. Che noi podisti era da anni che glielo dicevamo. Le Endorfine, le sentivamo in circolo. E migliaia di mogli, mariti, mamme, compagni e compagne di vita possono testimoniare di sbalzi d’umore, nervosismi, e vere e proprie crisi di astinenza causa infortunio. Quando la dose quotidiana non è stata ottenuta. Che un po’ ti fa pensare, ma poi vai a fare una corsa e ti rilassi, in fondo è meglio una dipendenza da fondo medio che una, ben più costosa, da “speed”.

Ma prima di accorgersene, o prima che svaniscano gli effetti, si torna agli affari, gli ultimi due chilometri sono su asfalto, la casa è vicina (sembra che i cavalli da corsa accelerino quando si avvicina la stalla) e poi è sempre una buona politica finire in progressione, alla rotonda sono cinquecento, il mio asilo, trecento, duecento, cento, la mano destra va inconsciamente a fermare il cronometro. L’arrivo l’ho fissato ad un centinaio di metri da casa, così dò un’occhiata alle caprette del vicino (come vanno in salita, loro. Un po’ d’invidia. Ogni volta), cammino piano per gli ultimi passi, e torno gradualmente alla realtà.

I viaggi sono finiti, per oggi.

Il Sacro Fuoco e le traversie del focolare domestico

Chi corre in genere non si infortuna in un momento. Per la maggior parte di noi l’infortunio è cosa che nasce come un fastidio, e, se non viene fermato da piccolo, cresce in una spirale di violenza che porta al fermo del podista per un tempo indeterminato.

Nessuno vuole vivere vicino ad un podista infortunato, è proprio un’esistenza misera. Ma succede.

Anche quando l’infortunio è traumatico, come una distorsione alla caviglia a Pasqua, succede che al rientro affrettato (ma lo si scoprirà solo dopo) le strutture prima e dopo la caviglia lavorino per compensare la mancata collaborazione della collega sofferente, e via ti si infiamma il tendine d’achille.

Corri sempre più piano e sempre meno, e a poco a poco il sacro fuoco, quell’energia che ti spinge a soffrire e a cercare quel qualcosa che non sempre sai cos’è, si affievola.

Il mio ormai era una fiamma pilota. Una decina di giorni fa l’idea di correre per più di trenta metri consecutivi mi sembrava inimmaginabile.

Siccome il podista è anche testardo, in una giornata, di trenta metri, intervallati da camminate più o meno lunghe, me ne facevo a decine. Giusto perché il naso fuori lo teniamo, e prima o poi riemergiamo.

Ma mi mancava quel po’ di velocità, quell’aria in faccia e ossigeno nei polmoni che alimentano, guarda te, proprio il fuoco sacro.

Però il lavoro sotto tono e controllato ha pagato. Ho cominciato a poter correre in discesa per qualche minuto consecutivo la scorsa setimana, e oggi ho partecipato ad una gara di 21km con quelle discese né ripide né piatte, in mezzo al bosco, con i tratti pieni di eucalipti, che ti sembra di stare dentro una caramella balsamica gigante.

E, per la prima volta da Pasqua, mi sono sentito normale.

I familiari, sentitamente, ringraziano.

Libro: "Once a Runner" di John L. Parker

Il passo principale per poter discutere di questo libro è situarlo storicamente.

Si parla degli anni settanta negli Stati Uniti. La corsa era ancora una cosa che facevano gli atleti, principalmente. I Joggers erano appena nati grazie ad una visita di Bowerman in Nuova Zelanda.
Il professionismo nell’atletica delle Olimpiadi cominciava a muovere i primi passi, non ufficiali e principalmente in nero. Il serbatoio degli olimpionici erano le università, istituzioni che consentivano di dedicare all’allenamento quell’attenzione maniacale che un’attività di alto livello richiede.

E
La Gara per eccellenza era il Miglio (1609,34 metri). Tutte quelle più lunghe, maratona compresa, maratona soprattutto, erano un ripiego di chi non ce la faceva ad eccellere nella competizione regina.

Una riflessione sul miglio si impone a noi atleti metrici decimali. Al di là di tradurre la distanza, e pensare che in fondo è solo un po’ più lungo di un millecinque, merita notare il fatto che, su una pista anglosassone standard, di 440 yards (poco più di 400 metri), sono esattamente quattro giri. I più scaltri avranno subito notato che il muro più famoso del mondo, i quattro minuti sul miglio, lo si abbatte correndo i quattro giri in un soffio meno di un minuto ciascuno.

Non può sfuggire dunque il fascino simmetrico dell’equilibrio tempo/distanza e il fatto che anche il più sprovveduto tra il pubblico, o il più suonato tra gli atleti, non ha difficoltà a calcolare mentalmente, e capire, se il ritmo sia quello giusto per scendere sotto ai quattro minuti.

Una miscela esplosiva, quindi, e di sicuro successo per chi voglia parteciparvi, a qualunque titolo.

Erano anche gli anni in cui il chilometraggio settimanale la faceva da padrone, a qualsiasi costo, e i lavori intervallati erano i mattoni principali.

Quenton Cassidy è l’eroe del romanzo, un miler, di quelli buoni, che all’inizio del libro vale 4’00”3, e quindi può potenzialmente entrare nell’elite, e ha una sua etica della corsa, di cui non riesce fino in fondo a spiegare le motivazioni agli umani, ma che di certo rispetta con una dedizione religiosa.

La prosa è scorrevole e riesce a cogliere quegli aspetti della psicologia dell’atleta d’elite (e Parker era un buon mezzofondista) che sono così diversi da chi corra per perdere peso o divertirsi.

Molto, molto gustosi, per me, i ritratti delle diverse categorie di atleti, mezzofondisti, lanciatori, saltatori, velocisti. E tutto sommato interessante la storia di contorno che funge da volano per le battaglie interiori del protagonista.

Il libro è stato recentemente ristampato in quanto ne è uscito il seguito “Again to Carthage”. La ristampa era dovuta da tempo, visto che, usato, non ero mai riuscito a vederlo disponibile per meno di 70 dollari, una cifra che, onestamente, non mi ero sentito di spendere, pure se il libro venga acclamato da molti come il miglior romanzo sulla corsa mai scritto.

Se sia il migliore io non me la sento di dirlo, che sia buono senz’altro, e che lo spaccato nei pensieri di una persona che sta facendo ripetute valga il costo della ristampa anche questo senz’altro.

Maratona di Scandiano RE

Rimando al racconto dell’anno scorso per alcune riflessioni sull’allenamento in generale, perché mi erano uscite bene, credo.

Quest’anno la maratona a staffetta (6 persone per 7 km a testa) mi ha confermato che la formula del lavoro di squadra è spettacolare, divertente e istruttiva.

Ci vorrebbero più staffette a questo mondo. Il Cross Country universitario negli Stati Uniti ha un feeling simile. Conta il gruppo più che il talento del singolo più forte. Anzi, è spesso l’anello debole quello più importante per portare a casa il risultato agonistico.

Quello del divertimento, invece, è garantito.

4a marcia amici del parco Bolda - Santa Lucia TV

Gli Amici del Parco Bolda, che organizzano, sono anche amici nostri, e quindi non si può mancare a questa manifestazione.

Il percorso sarà apprezzato specialmente da quelli che vogliono roba scorrevole e compatta, per limare qualche secondo sul tempo dei 10km. Quasi tutto asfalto, infatti, e misurazioni accurate.

Ma anche chi si voglia semplicemente divertire troverà pane per i suoi denti, anzi, spiedo, alla fine, nella cornice del parco, dove le piante hanno un cartellino con nome e caratteristiche. Un toccasana per me, che non ho mai superato il trauma di non saper distinguere un larice da un abete, e la cui terminologia forestale non va molto oltre: albero, tronco, rami, foglie, lanceolato.

10ma passeggiata alla scoperta del territorio - Mareno di Piave

Avrò corso cinque edizioni di questa manifestazione, e non credo di aver fatto lo stesso percorso una volta. Questo in genere mi infastidisce, ma non quì.

Sarà che si sconfina sempre in molti dei miei percorsi abituali, è casa mia, in fondo, sarà che ogni volta mi tirano fuori un pezzo di vigneto o una stradina sterrata che non avevo esplorato, ma immancabilmente mi diverto e non vedo l’ora di sperimentare i nuovi percorsi.

L’organizzazione è familiare e un po’ fuori dal circuito. Lo si nota dai molti dei partecipanti locali che si vogliono solo fare una passeggiata nel proprio paese e dal fatto che lo speaker si sorprenda dei partenti anticipati.

Vorrei, anch’io, sorprendermi di questo

Tifo Contro

Gli avversari sono indispensabili, perché non ci sarebbe gara altrimenti, essenziali, per spingerci oltre i nostri limiti conosciuti, utili, per comprendere la nostra unicità e allo stesso tempo “comunità”.

Qualsiasi tifo contro, al di là delle considerazioni etiche, è quindi di fatto penalizzante per chi dovrebbe essere il destinatario di quello a favore.

Della serie, se non mi facesse male il tendine d’achille adesso sarei fuori a correre, invece che quì a pontificare.

Su e zo par el Montegan - Lutrano di Fontanelle

Per descrizioni della manifestazioni rimando alle cronache del 2007 e del 2008, che coprivano sbalzi di temperatura e umidità non indifferenti.

Quest’anno, immersi in un clima simile a quello del 2007, ho visto con piacere che, finalmente, la partecipazione ha premiato gli sforzi degli organizzatori, con, mi dicono, oltre mile persone al via.

Mentre correvo mi sono ricordato di quanto sia stato fortunato a crescere nella Sinistra Piave della Provincia di Treviso.

La struttura del territorio, tra pianura e collina, e una particolare mentalità degli organizzatori, ha fatto si che le manifestazioni di corsa, già dai primi anni 80, quando ho iniziato, fossero dei viaggi alla scoperta del territorio, senza tante fisime di terreni. Il trail running non esisteva, come fenomeno e termine, eppure si viaggiava tra campi e sentieri nei boschi, oppure negli asfalti secondari che univano, e uniscono, i paesetti che ospitano queste manifestazioni.

Ti abitui ad affrontare tutto quello che ti tirano dietro. Si tratta di un esercizio di tolleranza e una educazione a sopportare, elementi imprescindibili nel bagaglio di un podista.

Noto sempre con piacere che, tutt’ora, molti dei corridori locali, dopo aver affrontato i rettilinei infiniti della Treviso Marathon, non hanno problemi a prepararsi per la TransCivetta, o altre corse che non potrebbero essere più lontane come ambiente e caratteristiche.

Eppure li vedi lì, senza tanti problemi, una domenica trascinando scarpe appesantite di fango su erte ai limiti del ribaltamento e l’altra a limare traiettorie su asfalti scorrevoli. Senza disdegnare, in settimana, di inanellare giri dentro o nelle vicinanze della locale pista di atletica. Mi auguro sia lo stesso nelle altre realtà locali che non conosco.

E a proposito di atteggiamenti positivi segnalo, per chi si destreggi con l’Inglese,
questo racconto di Suzanne, una mia amica che ha corso la sua prima 100 km, e che mi ha colpito per lo spirito con cui ha affrontato le difficoltà della prova.

Su e zo par el Montegan - Lutrano di Fontanelle

Di solito non faccio pubblicità alle manifestazioni, ma in questo caso faccio un’eccezione. Della Marcia ‘su e zo par el Montegan’ a Lutrano di Fontanelle ne avevo parlato nel 2007 e nel 2008, cui rimando per i dettagli. Ovviamente non mancherò nel 2009, perché merita.

Lutrano 2009

35ma Marcia Delle Lumache - Montaner TV

Dopo le prime erte ti viene il dubbio che le lumache del titolo della manifestazione siano un riferimento, neanche tanto velato, alla velocità dei concorrenti.

Del resto Montaner è drappeggiata in zona prealpina, le poche aree piatte sono occupate da coltivazioni o parcheggi, il resto è inclinato, molto inclinato.

E ogni volta che ci passo mi dò mentalmente qualche scapaccione, perché non mi ricordo mai di quanto sia piacevole e di quanto tutto sommato si trovi vicino a casa mia.

E vabbé, dovessi crucciarmi per ogni errore che faccio sarei tutto corrugato.

Tornando a noi, mi sono goduto i sentieri tecnici e le salite. Un po’ meno le discese cementate, ma non si può aver tutto.

Ristori e organizzazione familiare, nel senso di roba buona e senso di essere accuditi. Insomma di quelle da tornarci, del resto non stai 35 anni sul mercato se il prodotto non è valido.

Distrazioni

Basta una piccola buca sull’asfalto, e una mente propensa a viaggiare in altre dimensioni, per trovarsi orizzontali, e perdere un bel po’ di tempo e di preparazione faticosamente accumulata.

Tutto può servire per imparare e quindi facciamo nostra anche questa lezione, e continuiamo ad avanzare, seppur più lentamente e faticosamente.

Però oggi, a Refrontolo, si è viaggiato con piacere, tra sottoboschi della giusta consistenza e vigneti che stanno facendo i loro lunghi in preparazione della gara autunnale.

Problemi di traffico ai ristori, specie quelli predisposti all’interno delle cantine locali. Del resto non è gara dove si possa puntare al personale, che non sia quello del divertimento.

Viaggi nel tempo 2



Si parlava di viaggi nel tempo ed ecco che una soffitta bisognosa di ordine e tranquillità spara fuori un Correre del settembre 1981, in cifre 27 anni fa.

C’è un articolo su Mariano Scartezzini, di cui ammiravo la condotta di gara. Sorniona e disinteressata fino ad un paio di giri dalla fine, quando si portava sul gruppetto di testa per poi fulminarlo con uno sprint lungo sostenibile (termine che allora non esisteva in riferimento alle varie attività che svolgiamo più o meno quotidianamente) solo da lui.

Si parla del mitico Giro dell’Umbria, la prima corsa a tappe famosa, in Italia. Ricordo che mi incuriosiva questa strana formula di manifestazione cui non ho mai partecipato.

La grafica è più semplice di quella attuale e le pubblicità più ingenue ed anche strane, con scarpe tipo le Patrick (?) o le Valsport. O le mitiche adidas “Los Angeles Trainer” con gli inserti in gomma di diversa durezza da inserire nella zona del tallone. Quasi tutta roba italiana comunque, il che mi ricorda che internet non esisteva e quello che succedeva nel mondo ci arrivava attraverso i telegiornali, qualche amico più fortunato che andava a correre all’estero, oppure la pazienza di attendere qualche anno per i prodotti più famosi.

Poi ci sono i gemelli Gennari, che correvano i 100 chilometri, che era una cosa neanche immaginabile per me, in un periodo in cui pensavo che prima di smettere (probabilmente “appena” prima) avrei voluto correre una maratona come coronamento della carriera podistica.

E poi la Silvana Cruciata, Maria Pia D’Orlando, Paola Pigni, chissà che fine avranno fatto.

E poi le maratone nel mondo. Come quella di Montreal “famosa in tutto il mondo per i suoi 10.000 partecipanti”. E Berlino, ricordando che Berlino Ovest è “come un’isola nel cuore della Germania dell’Est”. Per non parlare di New York “divenuta ormai così famosa e il cui numero di partecipanti è stato da quest’anno limitato a non più di 16.000, fatto è che le 225 iscrizioni che il comitato organizzatore di Fred Lebow aveva garantito all’Italia sono risultate praticamente insufficienti”.

E’ utile ogni tanto incappare in qualche reperto storico, che ci ricordi quanto abbiamo guadagnato, e quello che possiamo aver perso da allora.

Viaggi nel Tempo

Le coincidenze esistono nella misura in cui ce ne accorgiamo, e viceversa, ci accorgiamo delle coincidenze in quanto siamo sintonizzati su una determinata lunghezza d'onda attentiva (acrobazia lessicale, passatemela).

Per esempio io ho sempre subito il fascino dei viaggi nel tempo, da
Ritorno al Futuro, a Peggy Sue Si è Sposata a Non Ci Resta Che Piangere a Lost a Life On Mars a The Lake House a Kate & Leopold e perfino a Hancock e Highlander che trattano il tema da un punto di vista diverso.

Il tutto per ambientare il mio stato d'animo durante un lungo nelle colline toscane, gia ricche di storia per conto loro, passando per Corella: quattro case, una chiesa e una cabina telefonica. Da quanto tempo non ne vedete una? Perché io non ci avevo fatto caso ma è proprio da tanto. Non che ne senta la mancanza, intendiamoci. Certo che vederla lì, in una ambientazione improbabile (togli i fili dell’elettricità e potresti comodamente pensare di essere finito nel milleqquattro, quasi millecinque), ti fa pensare a quando una cosa del genere era vista come una conquista della civiltà. Adesso c’è gente che si secca se le email arrivano sul telefono dopo quindici minuti, invece che immediatamente.

Poi ti reimmergi nelle colline montagnose di questa zona a nord della toscana, ai limiti del Mugello, e vieni investito da una Tempesta di neve, il 21 marzo, primo giorno di primavera. Neve orizzontale, vento, e guancia destra che in pochi secondi perde sensibilità. Fortunatamente ero coperto a sufficienza per completare questo mini viaggio nel tempo, anche, interstagionale. Ma torni contento ad una casa calda, con l’acqua corrente per una doccia calda e il caminetto.

La corsa alcune volte ti porta in posti che ti ricordano quanto sei fortunato a vivere dove vivi, in questo tempo di opportunità e comodità.

Interferenze

L’altro giorno leggevo che Kevin Rose, la cui creatura di maggior successo è digg, ha rivelato un suo piccolo segreto per la gestione della comunicazione elettronica.

Ha inserito la firma automatica “spedito dal mio iPhone” anche sulle email che invia dal computer, così i suoi interlocutori non si sentono offesi se manda risposte brevi.

La mia prima reazione è stata:

?

Poi ho pensato, tristemente, a quante volte spendiamo una parte del tempo, destinato teoricamente a lavorare per raggiungere un obiettivo, per crearci una scusa nel caso le cose non andassero bene.

Che, per carità, è politica che spesso paga, non entriamo nei dettagli.

Ma se parliamo strettamente di lavorare per obiettivi, pensando che non ci siano alternative al raggiungerli, ecco che tutte le nostre forze saranno concentrate per avanzare verso quell’obiettivo, sia esso il traguardo di una gara o semplicemente comunicare in maniera adeguata.

C’è
una presentazione interessante di Barry Schwartz, riguardante il paradosso della scelta. Pare che la nostra mente sia felice quando può scegliere tra due o tre alternative mentre va letteralmente in tilt quando deve farlo tra decine. Gli rimane sempre il dubbio che forse c’è un’alternativa migliore che non ha considerato. E smette di decidere, o resta sempre col dubbio che sarebbe stato meglio prendere un’altra strada.

Di nuovo, visto che qua rivolgiamo le nostre attenzioni alla corsa, se parto con l’idea che salvo problemi medici, non ho alternative ad arrivare, spenderò il grosso del mio tempo per avanzare e non dedicherò neanche una molecola di glicogeno a decidere se devo ritirarmi o meno. E’ già stato deciso prima, non ho scelta (ripeto, salvo infortuni che, di nuovo, non sono comunque una scelta).

Alla fine, meno scuse elaboriamo e più tempo/energie abbiamo per fare quelle che dobbiamo fare.

E, tornando a Kevin Rose, direi di mettere in conto un po’ di rispetto per i nostri interlocutori. Scusarsi per il fatto di non avere un mezzo adeguato per comunicare è un problema di chi scrive, non di chi legge, e non è che scusandoci risolviamo quel problema.

O, per dirlo con le immortali parole di
Maurice Minnifield: “Sorry!? Do you think sorry landed the man on the moon, or built the Transalaskan Pipeline or brought oil down from Point Barrel? Sorry wasn’t in those people vocabulary, do you know why? Because they had a job to do and they took great pride in doing it”.

Savassa è sempre Savassa

E’ mentre si cominciava a far strada l’idea che la primavera non fosse un concetto astratto, destinato a sciogliersi sotto la pioggia che ci ha tenuto compagnia per gran parte dell’inverno, ecco che l’uscita dall’auto, nel parcheggio a nord di Vittorio Veneto, ha raffreddato le nostre speranze ed il nostro corpo avvolto in un abbigliamento evidentemente troppo leggero.

Improvvisate felpe, recuperate dal bagaglio dove risiedevano per emergenze, cappucci, tutto quello che serviva a proteggere da un vento settentrionale, che scendeva dalle montagne con la rincorsa, ci hanno accompagnato verso le iscrizioni.

Passati i primi momenti di sgomento, e lasciato che il sole scollinasse, la temperatura si è fatta più mite, e complice la salitona iniziale da due chilometri si è potuto anche spargere qualche goccia di sudore.

Giunti in cima al nastro d’asfalto inclinato, per qualcuno insopportabilmente, inizia quello che fa di questa manifestazione (in particolare la 20km, che poi sono poco meno di 19) la mia preferita del calendario: una lunga discesa gentile interrotta da brevi salite, ad esplorare boschi e lungo laghi.

Con quei tratti tecnici (=sassosi ed infidi) che ti diplomano con lode per qualsiasi altro terreno. Se passi.

Traslochi prima della Marcia dei Castelli a Susegana

Quando vivi per tre anni con un computer impari a conoscere i suoi piccoli tic, ma soprattutto ci metti una serie di programmi, programmini e utilità che ti rendono il lavoro di tutti i giorni più semplice e rapido.

L’arrivo di un nuovo portatile comporta la grossa opportunità di partire pulito, liberandoti anche di tanta fuffa che avevi provato senza successo, ma ti mette di fronte a programmi che non funzionano più sul nuovo sistema operativo, o semplicemente a programmi, o icone, che non ti ricordavi neanche di aver installato, figurarsi poi se si tratta di ritrovarne l’origine.

Il tutto per dire che il sito dovrebbe funzionare come prima, se non lo dovesse fare (tipo immagini che compaiono in luoghi strani o altre amenità ) vi prego di segnalarmelo. Il nostro obiettivo è la soddisfazione del lettore, quanto meno in termini formali.

Esaurita la premessa tecnologica si passa a questioni più tecniche, e umane.

La Marcia dei Castelli è una manifestazione ben organizzata che di sviluppa in una zona piacevole alla vista e al tatto. Colline, boschi, campagne. Spesso tra cacciatori fuori stagione, che si ritrovano lo stesso per fare quattro chiacchiere e una sgambata al cane.

Non stupisce quindi che, complice il clima improvvisamente tardo primaverile, i parcheggi fossero già affollati ben prima del solito, e che per tutto il percorso, questa volta abbiamo scelto i 21km, non ci si sentisse mai soli soli. Oddìo, dopo il bivio con la 12km, c’è stato molto più spazio per gomiti e deviazioni improvvise, ma sempre con la sensazione di non trovarsi abbandonati a noi stessi, come in tante gare lunghe accade.

Alla fine portati a casa un bel po’ di chilometri sinuosi su vari piani, verticale e orizzontale.

Settimana Soleggiata

Come al solito ti distrai un attimo e il gruppo guadagna subito metri che poi non riesci a ricucire, se non con grosse fatiche.

Un gennaio di passione tra mente e fisico poco inclini a collaborre per il bene comune. Poi esce il sole e domenica sono sceso sotto l'ora e dodici nel giro del Collalto, che da ottobre non mi vedeva sotto l'ora e ventidue.

Si corre con qualsiasi tempo, su questo non ci piove, ma col sole e qualche grado sopra lo zero si va più volentieri, e pure più veloci.

Così, un paio di luoghi comuni e qualche numero, giusto per riallacciare un discorso che si era perso nel buio dell'inverno, come sempre.

Libro: "Sonia, My Story" di Sonia O'Sullivan

Negli anni novanta Sonia O'Sullivan è stata un personaggio eccellente del mezzofondo mondiale, con un paio d'anni di dominio a metà decade e qualche passo falso in momenti poco opportuni.

In ogni caso una figura di riferimento.

Il tutto condito dal fatto che ho sempre avuto un debole per i corridori britannici. Sarà quella loro asprezza e quell'aria da duri. Gente che non si lamenta, ma getta quotidianamente cuore e altre interiora oltre l'ostacolo.

Si tratta di una biografia che presenta molti punti di interesse.

Dal punto di vista storico traccia una foto di un periodo di transizione al professionismo conclamato. Erano inoltre gli anni d'oro dell'atletiva televisiva, e conseguentemente degli ingaggi per gli atleti.

Tecnicamente stupisce per come Sonia abbia percorso gran parte della sua vita atletica senza un programma di lavoro che andasse molto più in là di correre a tutta il più spesso possibile.

Umanamente conquista per la dedizione alla scelta di vita, e contemporaneamente pone tutti quei quesiti che si impongono quando qualcuno vota tutto sé stesso ad un unico obiettivo, con il quale si identifica completamente.

Per Sonia infatti non è stata tutta discesa, ha avuto alti e bassi non indifferenti, compreso l'imboccare il tunnel degli spogliatoi invece degli ultimi due giri di una finale Olimpica in cui era favorita. Già essere capaci di risollevarsi da una cosa del genere è degno di ammirazione.

Utili per una riflessione sono anche i ritmi di vita da atleta che vengono esposti.

Marcia dei tre mulini - Vazzola TV

Come si suol dire: imperdibile.

Un equilibrato mix di terreni, alla scoperta di un territorio che è più che altro agricolo, con l'occasionale piccola area industriale o residenziale.

Trattamento familiare con ristori "non agonistici" (si è intravisto un barbecue fumante alle cui lusinghe non abbiamo ceduto).

E abbondanza di volontari (Dio benedica gli Alpini).

Insomma la gara che tradizionalmente avvia l'anno sotto i migliori auspici.

E la prima corsa è stata divertente

primo gennaio duemilanove
foto di Serena