Redwood Park, Oakland, 27 agosto

Scegliendo accuratamente le gare può capitare di lottare per le prime posizioni. Con i forti tutti impegnati dai 20km in su (un trail runner "vero" neanche parte se deve fare meno di 20/25 chilometri) , la 10km era preda abbastanza facile per un piazzamento.

Un test cercato, e molto interessante, per vedere come cambi l'atteggiamento mentale rispetto alla tipica gara contro se stessi nelle posizioni di retrovia.

Perché, sì, a volte ti metti a gareggiare con i vicini, ma, ammettiamolo, tra l'arrivare 398mo o 399mo non è che ti cambi il mondo, tra secondo e terzo, neanche, però, dai, un po' sì.

Nelle gare normali, a fine gruppo, giusto giusto ti preoccupi se quelli appena davanti utilizzeranno gli ultimi bicchieri puliti rimasti al ristoro. Di più non riesco ad incattivirmi.

Tornando alla competizione,
col primo involatosi dopo un paio di chilometri, era il terzo concorrente a preoccuparmi, una ragazza bionda e slanciata.
Quei cento metri circa di vantaggio, che mantenevo non senza un certo sforzo, erano piuttosto elastici. La tenace creatura, non priva di grazia, era come un piccolo carroarmatino, velocità costante, guadagnava in salita, perdeva in pianura e discesa. Dopo aver speso un po' di tempo a studiarla, da un punto di vista agonistico, sia chiaro, ho cercato di guadagnare il più possibile in modo da non fornire un bersaglio motivante. La mia maglietta verde marcio (riferito solo al nome del colore) mi ha senz'altro facilitato rispetto al suo arancione squillante ben visibile.

La svolta della competizione è avvenuta poco prima della parte centrale della gara. Un "buontempone" aveva pensato bene di asportare le segnalazioni su quella parte del percorso. Il primo concorrente, che ormai immaginavo nei pressi delle abbondati libagioni all'arrivo, è ricomparso alla mia vista correndomi incontro e dicendomi che probabilmente avevamo sbagliato strada.

Allora:
non mi alleno a sufficienza, e non sono di certo Steve Ovett, per quanto una certa somiglianza mi dicevano ci fosse, però avevo fatto i compiti: studiato la mappa del percorso, l'andamento del dislivello, il nome dei sentieri e quanto dovevamo stare in ognuno e se le svolte erano a destra o sinistra.
Fosse stato una gara orale invece che podistica li avrei stracciati tutti, anche le gazzelle delle distanza superiori.

Attribuisco quello che è successo in seguito alla mia fibra morale superiore, più che ad un momento di mancanza di lucidità: ho rassicurato il primo che eravamo sulla retta via.
Devo essere sembrato convincente perché si è girato, e nel giro di pochi metri, è di nuovo scomparso leggero e, apparentemente, senza faticare. Io ho continuato a salire iperventilando rumorosamente.

La mia avversaria del giorno, intanto, non compariva più, inquietante ed inesorabile macchia arancione tra tronchi e cespugli. Scoprirò in seguito che ha avuto delle indecisioni su un paio di bivi ed è stata salvata da un'altra "studiosa" che viaggiava poco dietro.

A meri fini motivazionali mi ero però convinto che la mia tattica di forzare l'andatura per portarsi fuori vista stava dando frutti, e così ho scollinato al km 5,5 consapevole che adesso eravamo nel mio terreno. Da quel momento in poi è stata, letteralmente, tutta discesa fino all'arrivo, dove sono giunto un po' spaesato: cibo e bevande erano a malapena intaccati, in giro non c'era quasi nessuno, il parcheggio era ancora pieno.
Non sono scene cui sono abituato.

Il primo mi ha poi ringraziato per averlo salvato. Quando è arrivata la mia rivale, che ha mantenuto la terza posizione, non sono stato degnato di uno sguardo. Mi è parso evidente come la fiera competizione fosse un film di cui ero stato l'unico spettatore.

Ma che emozione.

Ok, adesso basta per un po' con le prove massimali. La prossima sarà probabilmente la visita medica. Quella dozzina di minuti sulla cyclette è decisamente la prova più dura dell'anno. L'unica per la quale mi prepari con una certa serietà.