Panoramica Della Salute - Vittorio Veneto TV

La 12km è in realtà una sei più sei. Il traffico umano e il sentiero stretto rendono infatti i primi sei chilometri una camminata che consente viste abbondanti a destra e a manca. Quando si scollina si può iniziare a correre, anche perché inizia pure la discesa. Il passaggio dentro alle grotte del Caglieron è sempre emozionante, l'asfalto della seconda parte un po' meno ma, ehi, è giusto far contenti un po' tutti.

Con una riflessione a parte notavo come, in genere, l'ispirazione che ha sostenuto questo posto sia sempre stata legata a doppio filo alla voglia di correre.

In questo periodo invece mi trovo a voler correre più di quanto riesca a scrivere.

Una corsa spesso spensierata, ovvero quella degli atleti forti (non necessariamente agli stessi ritmi), senza pensieri se non quelli funzionali all'avanzare.

Non è male neanche così. Ci sto facendo delle riflessioni da fermo che spero di riuscire a mettere nero su bianco, o qualsiasi altra coppia di colori contrastati che occupi lo schermo di chi legga in questo momento.

Nel frattempo si sappia che, ieri, ho fatto anche un lavoro di 20 (venti) minuti continui su pista con delle variazioni di velocità. Cose inimmaginabili fino a solo pochi mesi fa.

Il tutto proprio mentre negli ultimi giorni, come mi giro, trovo riferimenti ad una asserita noiosità delle gare di lunga distanza.

Da persone che corrono brevi distanze, e temono i tempi lunghi delle ultramaratone, ad ultramaratoneti, che temono la ripetitività delle gare in circuito, a molti altri, che non correrebbero neanche, se non esistessero gli iPod.

Poi leggo di una strategia di gara di Paula Radcliffe, contare lentamente fino a 100 (fatto per tre volte al suo ritmo gara equivale ad un miglio), che mi rendo conto non sia decisamente il passatempo ideale dell'individuo medio.

Mah.

Se parliamo di gare il problema non dovrebbe porsi minimamente. Con l'obiettivo di dare il meglio di se la mente non può staccarsi dall'obiettivo di avanzare più velocemente possibile, e quindi dev'essere presente al momento, senza possibilità di escursioni nel passato, nel futuro, o nelle miserie della condizione umana.

E' il motivo per cui intervistare un o una atleta d'elite al termine di una gara potrebbe risultare frustrante (questa mi sembra di averla già scritta). O la ragione per cui i siti degi stessi atleti d'elite non siano in genere fonte di filosofeggiamenti sofisticati.

Se parliamo di allenamenti posso in parte capire. Anch'io, senza un obiettivo preciso difficilmente uscirei per un lungo di oltre due ore. Ma più per pigrizia, che non per paura di non saper come passare il tempo.

Quello che mi inquieta, e affascina allo stesso tempo, è che, dopo qualche ora di corsa, in genere quattro per me, capita di intavolare delle conversazioni piuttosto basilari con sé stessi, e non sempre se ne esce vincitori.

Ecco che vedrei questo come motivo di preoccupazione in merito alle gare lunghe, stare da soli con sé stessi, roba che non si fa di frequente al giorno d'oggi.

La noia diciamocelo, non è tutta questa minaccia. E' anche una delle poche sensazioni che hanno come accessorio una percezione di rallentamento del passaggio del tempo, eterno cruccio, soprattutto in età adulta.

In ogni caso mi rendo conto anche che la mia mente è in grado di autoprodurre prorammi di intrattenimento per un periodo ben superiore alle mie capacità fisiche di corsa, e quindi quanto ho appena detto proviene da un piedistallo dal quale farei meglio a scendere.

Mah, di nuovo.

Venerdì, di ritorno da una delle mie salite preferite (da Valmareno a Praderadego, sulla strada asfaltata) mi sono anche fatto un autoritratto, che coglie alcuni aspetti della mia personalità non spumeggiante di questi giorni:
self portrait