Corsa in discesa del terzo tipo

La discesa, croce o delizia dei podisti di ogni dimensione e velocità, in genere viene affrontata impersonando due "tipi" caratteristici:
- il kamikaze, dotato di natura di superbo equilibrio e rapidità, balza tra una roccia e l'altra, attraversa praterie declinate a velocità superumana, sfida crepacci danzando;
- il frenatore, privo di attitudine al rischio, si irrigidisce alla sola vista di una pendenza negativa e riduce la velocità il più possibile rallentando ad ogni passo.

Il primo è facilmente riconoscibile dopo una gara, porta in volto il sorriso del dominatore di classifiche oppure fasciature/gessi sparsi per il corpo. Il secondo ha il suo marchio di fabbrica nella camminata sofferta, dovuta al quadricipite fritto, spesso lo si vede scedere le scale all'indietro, un attacco frontale sarebbe impensabile.

Eppure c'è una terza via.

Per chi non sia dotato da madre natura di equilibrio sopraffino e giro di gambe olimpico è possibile scendere da un monte o una collina senza distruggersi, mantenendo dignità e possibilità di battere i cancelli orari e i limiti di tempo previsti dagli organizzatori delle gare.

Come?

Vediamo prima la tecnica e poi le esercitazioni per svilupparla.

Immaginiamo una discesa abbastanza ripida, magari con qualche roccia, oppure semplicemente in asfalto. Semplificando, quel dolore che si prova nei giorni successivi è dovuto al lavoro eccentrico dei quadricipiti. Ogni volta che si frena il muscolo si contrae e nello stesso tempo si allunga. Le fibre si danneggiano e poi per qualche giorno ci sono quei problemi noti.

Il trucco per evitare tutto ciò è di lavorare sull'assetto, sull'appoggio e sulla frequenza.

Ci si sposterà leggermente indietro, inclinandoci come per sedersi, abbassando il centro di gravità e si cercherà di mantenere gli appoggi a terra molto rapidi. Senza mai consentire a tutto il peso del corpo di gravare sulla gamba d'appoggio.

Non serve raggiungere frequenze elevate. Si tratta di lasciarsi andare un po', rallentare in qualche passo se la discesa è proprio ripida, e poi di nuovo rilassarsi.

In questo modo si evitano i contraccolpi su muscoli, articolazioni e tendini, si riduce il rischio di distorsioni, perché anche se appoggiamo male poi non lasciamo che il peso del corpo gravi sulla caviglia maldisposta ma siamo già al prossimo passo, e la velocità di discesa è comunque dignitosa. Niente a che vedere con quella dei Kamikaze, ma comunque nettamente superiore a quella dei frenatori.

E' uno dei pochi casi in cui è salutare tenere le anche dietro la linea ideale che va dalla caviglia del piede d'appoggio alle spalle.

Nel caso ci si trovi in un sentiero lo sguardo è molto importante perché dovrà essere molto lesto scansionando il terreno un paio di metri avanti per analizzarne le caratteristiche, ma allargandosi frequentemente avanti (per cambi di pendenza, direzione e grossi ostacoli) e in alto (rami sporgenti). Il tutto in una verifica continua che non include il panorama, per il quale bisogna eventualmente fermarsi.

Proprio mentre pensavo questo, ieri, ho controllato in lontananza un manipolo di mucche che pascolavano tranquille, giusto per verificare dove sarei potuto passare senza disturbarle, e ho dato un calcio all'unica roccia sporgente nel raggio di decine di metri.

Oggi cammino con cautela. Un significativo promemoria.

Come esercitarsi.

Come sempre si va dal semplice al complesso, dal facile al difficile.

Dopo opportuno riscaldamento, ma prima di essere stanchi, facciamo dei tratti tranquilli su un tratto dalla superficie regolare in lieve pendenza. Lo scopo principale e di far girare le gambe e di provare a tenere l'appoggio il più leggero possibile. Non appena si realizzi che si sta perdendo il controllo, o che ci si irrigidisce, si diminuisce la velocità con una frenata fatta nello stesso spirito, graduale e in modo da non sentire contraccolpi.

Via via che si acquisisce scioltezza nel lavoro si può incrementare, sempre gradulamente e un parametro alla volta, la pendenza, la lunghezza del tratto corso e poi scegliere terreni via via più irregolari. La velocità è l'ultima cosa che ci interessa incrementare anzi, specialmente fino a che non si ha il completo controllo della situazione nello scendere rilassati, rallentando senza frenare, potrebbe addirittura essere cotroproducente cercare di aumentare la velocità.

A lato, avendo a disposizione una spiaggia, o meglio una buca del salto in lungo, si può cercare di correrci senza lasciare impronte profonde. Il meccanismo è simile, togliere l'appoggio prima di caricare tutto il peso e frequenza dei passi più elevata del solito. Nel caso della buca del salto in lungo, la si spiana per evitare buche e per poter controllare dopo, e si fa un tratto di trenta quaranta metri che include la sabbia. Poi si torna camminando verificando il tipo di impronte, che dovrebbero essere il più omogenee possibile. Per fare la stessa cosa sull'acqua ci vuole moltissima pratica Happy

La corsa in discesa richiede più tecnica che allenamento, ma poi resta, un po' come andare in bicicletta. La salita è il contrario.

La discesa rimane comunque pericolosa per cui la concentrazione è d'obbligo, anche per gli esperti, e specie nei tratti facili, e non sempre si riesce comunque ad evitare con successo tutti gli ostacoli.

E pazienza, pazienza, pazienza. Ci sto lavorando da quattro anni e solo negli ultimi mesi sento di avere una certa padronanza. Infatti, come dicevo, ieri sono inciampato.