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May 2011

Libro: "Once A Runner" di John L. Parker (REPLICA)

Ho interrotto il più lungo periodo di astinenza da libri che io ricordi riprendendo in mano “Once A Runner” (e rileggendo anche la recensione che avevo scritto la prima volta, stupendomi di aver saputo scrivere cose del genere. Come spesso mi accade quando ripasso su cose che ho prodotto in passato. Ma questa è un’altra storia, che riporta ad uno dei motivi per cui scrivo: per connettermi ad un me stesso di un’altra dimensione temporale).

Tornando al libro, ben più meritevole di me, ne confermo senz’altro la sostanza, con nuove sfumature che ho trovato (aggiungendo spessore al già grande numero di pagine con risvolti, testimoni di passaggi meritevoli di essere riscoperti e ricordati).

Aggiungo una citazione, perché mi ha colpito ancora di più della prima volta.

Parla del “segreto” della corsa.

Quenton Cassidy, protagonista della storia, è ad una festa di persone normali che gli pongono le consuete domande che ogni podista si è sentito rivolgere innumerevoli volte:

“(...) volevano conoscere Il Segreto. E nessuno di loro era preparato, veramente preparato, a capire che non aveva tanto a che fare con la chimica o scaltri trucchi mentali, quanto con quel più superficiale e qualche volta angosciante processo del rimuovere, molecola per molecola, la dura gomma che componeva la suola delle sue scarpe da allenamento”.

Grande Libro.
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Il punto della situazione

Il punto più importante è, senz’altro, la proiezione a terra del baricentro.

Per stare in piedi deve cadere entro la zona che i piedi tracciano a terra, tutti ne sono più o meno consapevoli e la cosa è data per scontata.

Al mondo però di statico c’è sempre molto poco. In termini dinamici le cose cambiano un po’, per stare in piedi sempre lì deve cadere, il baricentro. Ma, importante, nel momento in cui lo spostiamo in avanti o indietro abbiamo un effetto caduta (in avanti) o seduta (indietro) che può essere sfruttato a nostro favore.

Siccome la proiezione a terra è difficile da vedere, e ci serve un riferimento pratico e di facile localizzazione, fissiamolo nell’ombelico. Proviamo a spostarlo mentre corriamo un po’ avanti rispetto al solito, e vediamo che succede. Si può provare anche indietro, sempre per vedere l’effetto che fa.

Non dico altro, le parole hanno poca presa su aspetti pratici come questo.

Altro punto riguarda il fatto che questa settimana si conclude il ciclo di trasmissioni intitolato “ai nastri di partenza”, andato in onda su Radio Conegliano da metà marzo, in cui si è parlato di corsa e dintorni e in cui ho fatto l’ospite tecnico.

L’ho fatto perché di corsa parlo volentieri a chi voglia ascoltare, ma ancora di più perché la radio impone ritmi e modi che mi sono estranei. Non ho grossi problemi a parlare in pubblico, perché posso valutarne reazione e gestirmi i tempi. In radio hai sezioni da 8/10 minuti in cui parli non si sa a chi, e se ti impaperi devi andare avanti comunque. Inoltre bisogna essere molto più bravi per dire una cosa in due minuti, che senza limiti di tempo.

Di incertezze e prestazioni inferiori alle, perlomeno mie, aspettative, ne ho prodotte più o meno ogni puntata. Ma ho fatto esercizio di ristrutturazione cognitiva (leggete sull’argomento
“Resisto Dunque Sono” di Pietro Trabucchi, se non lo conoscete, conoscetelo. Leggete qualsiasi cosa abbia scritto Pietro, foss’anche la lista della spesa. Di sicuro c’è qualcosa da imparare) dicendomi che l’importante non era tanto quello che è successo ma la mia reazione all’evento e quello che potevo imparare dall’esperienza.

Non avessi fatto questo sarei a terra dondolante in posizione fetale, rimuginando sulle figuracce che ho fatto. Di queste mi scuso, ma ho cercato di non ripeterle e di rendere un servizio migliore agli ascoltatori la volta successiva. Se non ci sono riuscito mi scuso ancora, ma oltre certi limiti non dipende da me, l’ascoltatore deve riuscire a tirar fuori qualcosa di intelleggibile da quello che ho balbettato nei miei otto minuti della rubrica “punto della situazione”.

Non mi sto giustificando, è solo per far passare il concetto che l’unico modo per andare avanti in modo più o meno sereno è prendersi la responsabilità di quello che ci succede, perché se la deleghiamo ad altri saremo sempre in balìa di quello che fanno loro.

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